ANISA: O CAMBIA QUALCOSA, O OGNUN PER SÉ

Nel corso di una recentissima intervista a LA STAMPA, STEFANO CANTARELLI, Presidente Nazionale di ANISA, l’associazione gestori autostradali associati a Confcommercio, torna sulla crisi del comparto, il crollo verticale delle vendite ed il peso, sul rilevante delta prezzo rispetto alla rete ordinaria, gravante a causa delle royalty ai Concessionari.

Il testo dell’intervista è riportato nella seconda parte del presente articolo.

«Nel testo dell’articolo – precisa Cantarelli – non mancano alcune inesattezze ed approssimazioni su concetti che non sempre sono chiari [come del resto molte altre cose in tutto il settore della distribuzione dei carburanti] per un osservatore esterno, tuttavia sono sufficientemente chiari i due punti centrali sui quali si gioca, 1) nel caso si lascino le cose come stanno, l’affossamento definitivo della rete autostradale, ovvero, 2) nel caso si pensi di avere un minimo di progettualità innovativa, una possibile inversione di tendenza: a) la razionalizzazione della rete; b) la politica dei prezzi.»

«Anche gli ultimi dati sulle vendite [quelli del primo trimestre 2017] – spiega il Presidente ANISA – indicanti una ulteriore flessione di oltre 8 punti percentuali sulle vendite del primo trimestre 2016, confermano che il processo di progressiva disaffezione del consumatore dai servizi della rete autostradale, e quindi la sua marginalizzazione, è tanto specifica del comparto quanto ormai inarrestabile: se si fa, ad esempio, un paragone con un anno, quale il 1998 – che è stato in assoluto il migliore per la rete autostradale con 4,307 miliardi di litri tra benzina e gasolio – tra i dati del primo trimestre di quell’anno e quelli del primo trimestre 2017 si rileva che i consumi totali di questi due prodotti [extrarete incluso] hanno perso qualcosa come il 14,95 %, un dato che per la rete ordinaria si raddoppia fino al -29,61 % , ma che per la rete autostradale si moltiplica per 4,5 volte, ossia il crollo è pari al 67,09 %. E, come controprova, se nel primo trimestre 1998 le vendite in autostrada costituivano l’8,9 % di tutte le vendite di benzina e gasolio, extrarete incluso, e l’11,5 % delle vendite in rete [ordinaria+autostradale], nel primo trimestre del 2017 le quote diventano, rispettivamente, del 3,4 % e del 5,7 %. Nonostante dal 1998 al 2016 i volumi di traffico abbiano avuto un incremento del 24,9 % delle percorrenze di veicoli leggeri e del 22,3 % per quelli pesanti… E sia pure solo per inciso, sarebbe opportuno ricordare che dallo stesso 1998 al 2016 gli introiti da pedaggi sono aumentati “appena” del 122 %, da circa 3,500 a 7,765 miliardi di euro.»

«Abbiamo già detto [si veda, ad esempio, il numero speciale, dedicato all’autostrada, di Figisc Anisa News n. 9 23.03.2017, “Autostrada: l’è tutto da rifare”] – rammenta Cantarelliche se si vuole, se non rilanciare il comparto, almeno arrestarne la dissoluzione serve un progetto articolato che affronti sia il problema della riduzione significativa di questa rete [la razionalizzazione del decreto del 2015 era già due anni or sono come un frutto già marcio ancora casualmente appeso sul ramo], sia quello della “pulizia” da condurre quei fattori del divario del prezzo di beni e servizi che nulla c’entrano con i costi di esercizio, ossia quelle royalty costituenti una mera rendita che sta auto-affossando il proprio stesso mercato e discriminando gli operatori che vi esercitano iniziative economiche in un regime decisamente distorto, e che sono inoltre un palese affronto alle regole della concorrenza, che dovrebbero assicurare nel Paese condizioni minimali uniformi ed omogenee di accesso a beni e servizi per i cittadini ed i consumatori. In difetto di tali misure non si può ragionevolmente traguardare ad un futuro dei servizi della rete autostradale se non in termini di inarrestabile minimizzazione e degrado qualitativo e quantitativo.»

Ed in riferimento alla crisi della categoria dei gestori, il Presidente ANISA è perentorio: «Se si deve giudicare da quanto accade da anni, si dovrebbe trarre la conclusione che chi avrebbe avuto il dovere – per peso economico, responsabilità sociale od istituzionale, ecc. – di invertire il degrado del comparto ha dimostrato invece scarsa volontà o capacità di innestare un processo appena un po’ più virtuoso, ed anzi – con esplicito riferimento alle compagnie petrolifere –, invece di fare quanto in suo potere, e perfino interesse, per correggere le storture, le ha trasferite, aggravandole con l’esercizio dell’abuso di dipendenza economica, sui gestori. Ormai ha poco senso attardarsi su questioni che appaiono già vecchie, così come confidare che il quadro si possa rabberciare – ad esempio, parlando della contrattualistica tra gli assegnatari dei bandi ed i gestori – con una riproposta di vecchi schemi che hanno dimostrato assoluta inefficacia a garantire qualcosa in un contesto generale e relazionale così deteriorato, e, così come pure ad eventuali nuovi schemi che colgano esclusivamente interessi contingenti della controparte e non finalizzati ad una prospettiva di recupero complessivo del comparto. Senza troppi inutili giri di parole, su questo fronte è ormai arrivato il momento in cui o ci sono ancora precisi impegni delle controparti di concordare un minimo di regole condivise [politiche commerciali e di prezzo, giustificazione economica delle gestioni, ecc.] in un progetto di svolta del comparto su cui vi può essere un interesse condiviso [ristrutturazione, royalty], oppure non resta che lasciare che le gestioni aggiustino le proprie diseconomie direttamente sul prezzo finale – giovandosi peraltro di tutti i mezzi legali e giuridici per contrastare gli abusi delle controparti rispetto a regole generali che comunque sono vigenti -, sapendo tuttavia che un ulteriore acutizzarsi della conflittualità non aiuterà il comparto a fermare la spirale negativa in cui si è avvitato. In altre parole: o cambia qualcosa, o ognun per sé!».

Il testo dell’intervista, a firma F. Pol. é il seguente:

Colpa delle royalties a noi restano i centesimi

La crisi ha picchiato duro anche in questo campo. Vendiamo addirittura meno del 1979

Stefano Cantarelli, Presidente della rete autostradale [ANISA] della Federazione Italiana Gestori Impianti Stradali Carburanti, perché fate pagare di più la benzina dopo il casello?

Intanto il costo di esercizio è più alto. Anche se è stato ridotto all’osso deve essere garantito personale 24 ore al giorno e non solo un servizio automatico alla pompa.

Basta per il salasso?

Il dato che incide molto sono le royalties che chiedono le società autostradali per assegnare alle compagnie petrolifere o ai gestori la singola area di servizio. Negli anni si è arrivati ad un costo che si aggira tra i 12 e i 13 centesimi al litro. Soldi che finiscono direttamente ai gestori [delle tratte, ossia Concessionari, N.d.R.].

In passato erano meno?

Fino al 2002, quando si è privatizzata la rete autostradale, le royalties arrivavano al massimo a 1 centesimo e mezzo al litro. Il problema che l’aggiudicazione è su base d’asta. Pur di accaparrarsi l’area di servizio anche le compagnie petrolifere offrono di più. Secondo un dato in nostro possesso le società autostradali incassano tra i 150 e i 160 milioni di euro l’anno.”

Che Iva e accise siano tra le più alte in Europa lo sappiamo…

Sì, ma ricordiamo anche che al benzinaio, fatto un prezzo medio della benzina di 1,4 euro al litro, rimangono in tasca appena 5 centesimi.”

C’è qualche anomalia su cui si potrebbe intervenire?

Bisognerebbe ristrutturare l’intera rete. Andrebbero chiusi il 30% degli impianti. Quelli che ci sono oramai sono decisamente troppi.

Si vende meno benzina?

La crisi ha picchiato duro anche in questo campo. Nel 2002 in autostrada si vendevano 4 miliardi di litri l’anno di carburante. Nel 2016 siamo a meno di 1,8 miliardi. Contro i 26/27 miliardi dell’intera rete ordinaria. Siamo sotto addirittura al 1979 quando la rete autostradale era grande la metà e si vendevano 2,5 miliardi di litri.”

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