MANOVRE & ESERCITAZIONI SUI CONTRATTI – (2)

AVVERTENZA: Le opinioni ed i giudizi espressi nell’articolo di seguito ospitato non riflettono necessariamente né in tutto, né in parte l’opinione della FIGISC, ma esclusivamente quella del suo estensore.

<<Sulla discussione sui contratti [che non è balzata all’attenzione solo nelle ultime settimane, ma che è emersa da qualche mese e per ragioni ben circoscritte], se qualcuno avesse avuto la speranza che finalmente si cominciasse a metter mano alla revisione ed innovazione del quadro dei rapporti tra gestioni ed aziende, magari cominciando a dare progressivamente sostanza ad una possibilità prevista – come si è letto nell’articolo precedente – sin da oltre un lustro fa, esattamente dal 2011, e confermata nel 2012, se qualcuno, si diceva, avesse davvero confidato in questa svolta, beh, dovrà necessariamente ridimensionare le proprie aspettative.

Mettiamo insieme dati e circostanze.

Ci si ricorderà che in data 8 ottobre 2013 le Organizzazioni di categoria dei gestori con Assopetroli-Assoenergia e Consorzio Grandi Reti presentarono il raggiungimento di un accordo sul contratto di commissione [si veda anche Figisc Anisa News nn. 38 del 09.10.2013 e 39 del 14.10.2013], un accordo che – rimasto tuttora, dopo tre anni ed un po’, «indescritto» nelle parti economiche – era stato ritenuto utile anzitutto, più che per la propria idoneità a risolvere il quadro contrattuale dei diretti interessati gestori dei retisti, piuttosto per il suo significato di simboleggiare una netta controtendenza rispetto al mondo delle aziende petrolifere, le quali non solo non trattavano sulle nuove figure contrattuali, ma  non rinnovavano nemmeno gli accordi già scaduti con il quadro contrattuale vigente [non è insolito, da noi, del resto, fare una cosa per il suo valore simbolico piuttosto che per i suoi contenuti reali…].

Sia come sia, a quell’accordo che attivava il contratto di commissione in area retisti, nulla è seguito,  se non un improvviso e recente interesse del mondo petrolifero a farne un uso del tutto strumentale  e particolare [capovolgendone la finalità simbolica…]: a fine agosto Kupit «scopre», oppure «si ricorda», che c’è un contratto tipizzato di commissione, bello pronto, ancorché da correggere per adattarlo alla rete autostradale, e che basta imporlo ai gestori per soddisfare meglio gli impegni offerti per partecipare alle gare di assegnazione dei servizi sulla rete autostradale «ristrutturata» [!].

Ed ecco che, per consentire a Kupit di soddisfare gli impegni unilateralmente assunti con ASPI, il contratto di commissione in generale – ossia sia in rete ordinaria che autostradale – diventa urgente e necessario ad Unione Petrolifera.

Una situazione decisamente intrigante e paradossale che richiama l’attenzione sia sul fatto che la controparte industriale riesca così ad appropriarsi a suo uso e consumo di qualcosa che secondo le Organizzazioni di categoria poteva forse essere un valore aggiunto, almeno teorico, per i gestori, sia sul fatto che si proceda sulla revisione degli strumenti contrattuali in maniera casuale, senza una visione d’insieme, e comunque per comportamenti di comodo, compulsivi, unilaterali e con la consueta impostazione ultimativa del «mangia quest’osso o salta questo fosso».

 

Alcune considerazioni sintetiche sembrano opportune a questo punto.

1) «Sullo» strumento contrattuale in sé – cioè nella fattispecie il contratto di commissione -, ma anche in generale «sugli» strumenti contrattuali vecchi e nuovi [di cui il contratto di commissione è «uno tra diversi»] e quindi su una visione di sviluppo del settore distributivo e del ruolo dei suoi attori – di cui ci interessano ovviamente i gestori – si arriva infine, come ben più sopra raccontato, su sollecitazione della controparte, senza neppure avere avuto il tempo, la diligenza, ecc. di un opportuno confronto dentro e fuori le singole organizzazioni, confronto necessario a sviluppare maturità e consapevolezza, a raccogliere idee ed ipotesi, a costruire un percorso che non sia solo la risultante di un confronto esclusivo tra ristretti gruppi dirigenti costretti a subire la pesante pressione e le limitate ipotesi di manovra di ristretti gruppi dirigenti dell’industria petrolifera.

In una lettera aperta a STAFFETTA, qualcuno – di cui non facciamo il nome, ma solo il cognome, Parin, di GISC_TV – in dicembre scriveva: «… è necessario cambiare la contrattualistica, che si chiami contratto di commissione o qualsiasi altro nome di fantasia poco importa. Invece importa, e molto, quello che sta scritto sotto al titolo, e allora cominciamo noi gestori di Confcommercio a pensarlo e scriverlo il nostro futuro, mettiamo insieme le teste che ci sono, confrontiamoci su tutto senza esclusioni di sorta, e alla fine ne usciremo sicuramente con qualcosa di positivo. Dopo, e solo dopo, ci confronteremo con gli altri e la controparte, ma basta rincorrere e seguire la corrente, mettiamoci prima la nostra visione del presente e futuro, poi il successivo e necessario confronto non potrà che migliorare quanto da noi pensato…». E per quanto magari ci dispiaccia dargli un assist, è anche difficile riuscire a dargli torto…

2) Sulle figure contrattuali possibili alla luce delle normative vigenti da oltre cinque anni non si è mai avviato alcun confronto neppure con le controparti. Arroccati da un lato in posizioni difensive e «sindacalistiche» sugli strumenti già obsoleti e vulnerati dal mercato, chiusi dall’altro – il lato delle aziende – a qualunque strategia che non fosse quella del giorno per giorno, delle relazioni commerciali basate sulle politiche commerciali del momento, del ricorso alla trattativa individuale nell’attesa di qualche provvedimento che togliesse di mezzo l’obbligo di negoziare col «sindacato», si sono persi cinque anni preziosi per valutare almeno teoricamente soluzioni od attuare un minimo di sperimentazione atta a dare flessibilità contrattate ed a verificare opzioni per uno sviluppo della distribuzione all’interno del comparto tradizionale petrolifero. Cinque anni – che sarebbero stati preziosi e costruttivi anche a diminuire il grado di conflittualità se ben utilizzati – buttati via e proprio in una fase di crescente problematicità del mercato: un ritardo colpevole ed irreversibile.

3) L’orizzonte dei contratti non è monotematico, né si tratta di sostituire A con B, perché A non funziona più o perché B sembra più praticabile o perché ci sono pressioni marcate per B e non per C, si tratta di andare oltre. Ricordiamo come una delle preoccupazioni dell’Antitrust fosse che una rigida predeterminazione dei contratti «nuovi» avrebbe potuto portare ad una ingessatura dello sviluppo della distribuzione. [E quanto sembra dire l’avvocato Sorrentino nell’articolo sopra pubblicato è sia che se aspettiamo di avere contratti che determinino esattamente anche la virgola, non ne uscirà mai nulla, sia che le differenze reali esistenti nel mercato non possono giustificare una soluzione buona per tutte le stagioni].

La preoccupazione/raccomandazione dell’Antitrust per il 50 % ci trova d’accordo: «sterilizzare» le figure contrattuali possibili, limitarle una sola alternativa a quel che c’è, non serve al sistema, ma non serve soprattutto al gestore perché continuerebbe ad «ingessarlo» in un mercato che si muove continuamente e l’esperienza dell’abbinata comodato + esclusiva di fornitura dovrebbe averlo a sufficienza spiegato negli ultimi dieci, penosi, anni.

Non ci trova ovviamente d’accordo per l’altro 50 %, quando sostiene [anzi, ripetutamente invita e  raccomanda] che non si devono tipizzare i contratti e si deve rimettere la questione alla libera trattativa tra le parti, che poi è l’one to one praticato dalle aziende petrolifere.

4) Qualunque dibattito puramente «nominalistico» sui contratti [ossia sul nome, natura e livello dello strumento contrattuale], e sostanzialmente su quelli che presuppongono ancora un rapporto di dipendenza diretta od indiretta tra gestore ed azienda, non può prescindere dalla sostanza del rapporto, sostanza che senza inutili giri di parole potrebbe essere espressa esattamente come scritta con efficienza teutonica nel «protocollo di Berlino» del 2015 che abbiamo citato su Figisc Anisa News n. 26 del 06.11.2016 e n. 28 del 27.11.2016: «La società delle stazioni di servizio e i gestori delle stazioni di servizio dovranno mantenere tra loro un comportamento equo. L’obiettivo della loro collaborazione è quella di sfruttare insieme le opportunità di mercato, al fine che i gestori delle stazioni di servizio riescano ad ottenere un reddito adeguato e sufficiente per vivere. Le modifiche dei contratti dovranno essere eseguite in modo proporzionato riguardo ad entrambe le parti». Un principio che dovrebbe essere trasversale a tutti questi tipi di contratti che si basano su una «asimmetria» sostanziale tra gestore ed azienda nel controllo del prezzo e del mercato.

5) Né questi contratti – ossia, per essere ancor più chiari con una ripetizione del concetto, quelli che si basano su una «asimmetria» sostanziale tra gestore ed azienda nel controllo del prezzo e del mercato – possono essere gli unici immaginabili o, almeno, gli unici immaginabili come campo di azione delle organizzazioni associative e/o rappresentative della categoria, se per quest’ultima si vuole pensare anche ad un futuro ragionevolmente aperto e funzionale alla modernizzazione del sistema in senso positivo per i consumatori e per gli operatori.

Come dimostrano i numeri esposti più sotto in questo stesso numero in merito dalla diversa necessità economica per stare sul mercato tra gli operatori in qualche modo indipendenti e le aziende petrolifere [con le rigidità di queste ultime in tutta la fase di formazione del prezzo dalla cessione del prodotto alla propria rete alla vendita al pubblico, che valgono la necessità di margini quasi doppi di quelli degli indipendenti] questo comparto va «normalizzato» in forme più flessibili di rapporti commerciali ed autonomia di mercato.

Per una organizzazione di categoria, aprirsi ad una visione di insieme, puntando a correggere le più eclatanti storture del presente [e degli errori, anche se involontariamente accumulati] assieme a lavorare per un possibile futuro di domani può costituire un’alternativa valida alla progressiva consunzione e ad una riassunzione di «utilità» reale e non solo autoreferenziale……[G.M.]

 

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