AUMENTI IVA ED ACCISE: 52 MILIARDI IN TRE ANNI ?

imposte

L’articolo 45, comma 3, della legge di stabilità prevede quanto segue:

«Il comma 430 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è sostituito dai seguenti:

430. L’aliquota Iva del 10 per cento è incrementata di ___ punti percentuali a decorrere dal 1° gennaio 2016 e di ulteriori ___ punti percentuali dal 1° gennaio 2017.

430bis. L’aliquota Iva del 22 per cento è incrementata di ___ punti percentuali a decorrere dal 1° gennaio 2016 e di ulteriori ___ punti percentuali dal 1° gennaio 2017.

430ter. A decorrere dal 1° gennaio 2016, l’aliquota dell’accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché l’aliquota dell’accisa sul gasolio usato come carburante, di cui all’allegato 1 del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 e successive modificazioni, sono aumentate di ___ centesimi.»

Si tratta della famosa clausola di salvaguardia, già contenuta nella finanziaria dello scorso anno. Cosa sia una clausola di salvaguardia è ben spiegato nella citata norma: «Le misure [ossia gli aumenti] non sono adottate o sono adottate per importi inferiori a quelli indicati nel medesimo periodo ove, entro la data del 1º gennaio 2015, siano approvati provvedimenti normativi che assicurino, in tutto o in parte, i predetti importi attraverso il conseguimento di maggiori entrate ovvero di risparmi di spesa mediante interventi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica.». Quanto valga la clausola di salvaguardia lo dice la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2014, predisposto dal Ministero competente: «In particolare è stata ipotizzata una clausola sulle aliquote Iva e sulle altre imposte indirette per un ammontare di 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018 [il conto totale fa 51,6 miliardi di euro!]. Gli effetti di tale clausola….genererebbero una perdita di PIL pari a 0,7 percentuali a fine periodo dovuta ad una contrazione complessiva dei consumi e degli investimenti per 1,3 punti percentuali.»

Così i documenti. In sostanza, se non si recupereranno risorse con altre entrate o con riduzioni di spesa, diventeranno automatici gli aumenti – ancora imprecisati – dell’Iva [di cui si dice potrebbe arrivare nel 2018 al 25 %] e, ovviamente, delle accise sui carburanti, secondo il consueto copione del bancomat.

Quanto valga un aumento di un punto dell’Iva è, a giudizio dei contabili, stimato in circa 4 miliardi di euro: di quanto dovrebbero aumentare le accise per colmare la differenza sul fabbisogno? Gli aumenti stabiliti da Monti sul «Salva Italia» valevano circa 4,5 miliardi di euro, e l’aumento fu mediamente di oltre 9 cent/litro senza Iva, una purga che rischia di sembrare una tisana rispetto a quel che ci aspetta se scatterà la clausola di salvaguardia ipotizzata dal Governo Renzi.

Infine l’evidenza dei fatti già certi: i prezzi dei carburanti in Italia sono stabilmente ormai fin dal 2012, ossia da tre anni, superiori alla media comunitaria di 25-26 cent/litro a causa dei 24 cent/litro di imposte nazionali eccedenti la media comunitaria, e per effetto di ciò – unitamente a quello della crisi – i consumi sono caduti di 5 miliardi di litri, ragion per cui eventuali aumenti saranno, oltretutto, spartiti su una «torta» di consumi più ridotta di quasi dodici punti percentuali di quella del 2011. Dal 2011, gli italiani hanno pagato maggiori imposte sui carburanti già per oltre 22 miliardi di euro, un salasso recessivo che rischia di ripetersi su scala maggiore con questa finanziaria.

 

Nota informativa
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