AUTOSTRADE, VENDITE ANCORA GIÙ…& MOLTO ALTRO

Disponibili per ora sono solo i dati relativi al primo trimestre 2018 (ma fra poco tempo verranno disponibili quelli fino al secondo trimestre), ma la tendenza è chiara: se le vendite complessive in rete ed extrarete di benzine e gasoli da gennaio a marzo 2018 segnano un +1,83 % sullo stesso periodo del 2017, e se le vendite degli stessi prodotti nella rete ordinaria marcano un -0,10 %, nella rete dell’autostrada le vendite mostrano un segno negativo pari al -7,64 %. Parallelamente, le percorrenze chilometriche in autostrada nello stesso periodo confrontato con l’anno precedente registrano un segno positivo, pari ad un +1,2 % totale [+0,6 % i veicoli leggeri e +3,1 % i veicoli pesanti], anche se i dati aggiornati a tutto il primo semestre [dati AISCAT, questi, a differenza dei dati sulle vendite, disponibili fino al giugno 2018] denotano un rallentamento [+0,1 % veicoli leggeri, +3,2 % veicoli pesanti, +0,8 % veicoli totali]. Continua così la performance negativa delle vendite in autostrada, che si protrae ininterrottamente dal 2004 fino al 2018.

Dal 2003 [anno della privatizzazione] e fino a tutto il 2017 le vendite su tutta la rete autostradale di questi due prodotti sommati perdono un -66,30 % (da 4.237 a 1,428 miliardi di litri), mentre le vendite complessive in rete ed extrarete limitano tale perdita ad un -21,25 % (da 46,923 a 36,951 miliardi di litri), le vendite nel circuito extrarete addirittura aumentano di un +28,35 % (da 11,440 a 14,682 miliardi di litri) e quelli in rete ordinaria perdono un -33,30 % (da 31,247 a 20,841 miliardi di litri). Le perdite percentuali in autostrada sono pari al doppio di quelle della rete ordinaria ed a più del triplo della somma delle vendite sommate di rete ed extrarete.

Se si esaminano i dati delle vendite cumulate di benzina, gasolio e gpl della rete autostradale in concessione, secondo i numeri di AISCAT i volumi decrementano dal 2003 al 2017 di un -62,73 % (da 4,023 a 1,499 miliardi di litri), con una regressione degli erogati medi per Ads dai 9,4 milioni di litri iniziali del periodo a 3,2. Nello stesso periodo, le percorrenze in chilometri dei veicoli sulla rete autostradale, sempre per la parte in concessione, aumentano [dopo le pesanti batoste del 2012, pari ad un -7,20 %, ma le vendite in quello stesso anno crollarono su quella parte di rete autostradale in un colpo solo di un -23,11 %] in un quindicennio di un +8,26 % [da 77.436 milioni di km del 2003 a 83.833 del 2017].

Che il dato delle vendite autostradali sia palesemente anomalo è evidente: tutto il complesso dei consumi ha subito la crisi economica durata dal 2008 al 2014 e la conseguente riduzione della mobilità nel periodo, tutto il complesso dei consumi si è evoluto in conseguenza della sostituzione del parco veicoli diesel, che ha efficientato il rapporto consumi/km [ogni 10 punti percentuali di incremento del parco con alimentazione diesel, i consumi complessivi a fonte fossile sono stati “limati” di 2 punti percentuali dal 2003 al 2017, e se nel complesso di rete ed extrarete questi sono diminuiti del 19 %, in autostrada, dove la componente del diesel è più accentuata, la contrazione “fisiologica” si può stimare su 23 punti percentuali, includendo anche gli effetti delle vendite del gpl che nel quindicennio hanno guadagnato un +24,59 %], ma nella rete autostradale ci sono ancora circa 40 punti percentuali di perdita che la distanziano dalle dinamiche complessive del settore.

Ma anche le vendite di altri servizi, in particolare di somministrazione di food & beverage, hanno fatto registrare dinamiche regressive dal 2003 al 2017: nominalmente” il calo [sempre secondo i dati AISCAT] a “valore” risulta solo di un -4,79 % [da 898 a 855 milioni di euro], ma se si interpolano questi dati con tre variabili fondamentali [la dinamica delle percorrenze/km, quella dell’inflazione e quella della propensione ai consumi] il risultato si approssima al -27,89 %. Anche in questo caso tra la dinamica della propensione ai consumi nel quindicennio [un calo, “pulito” dall’inflazione, del -3,07 %] e l’andamento dei consumi nella rete autostradale c’è un notevole divario, pari a circa 24 punti percentuali di scarto negativo.

Quali le ragioni di queste dinamiche? Quelle più volte evidenziate da queste, ed anche altre, colonne.

L’incidenza delle royalty imposte dai Concessionari sui carburanti e sugli altri beni, il cui valore nel quindicennio 2003-2017 si può stimare, assai prudenzialmente, in circa 5,0 miliardi di euro, ossia ad una quota di circa l’8 % dell’ammontare della spesa degli automobilisti per approvvigionamento di carburanti ed altri beni e servizi maturata nel quindicennio, una “zavorra” su questo mercato che oggettivamente contrasta con due basici assunti costituzionali: le condizioni di pari opportunità e del corretto ed uniforme funzionamento del mercato, dal lato delle imprese operanti e, da quello del consumatore, un livello uniforme di condizioni di accessibilità ai beni e servizi sul territorio nazionale. Questione che sembra non infastidire lo Stato che tali principi dovrebbe tutelare, prova ne sia che esso percepisce la royalty [172 milioni di euro dal 2008 al 2016, dati del Ministero Infrastrutture e Trasporti, Direzione Generale per la vigilanza sulle Concessionarie autostradali, “Relazione attività 2016”] sulle royalty imposte dal Concessionario sui “ricavi conseguiti dalle subconcessioni sul sedime autostradale e delle altre attività collaterali svolte”.

L’incremento dei pedaggi, da 4,7 miliardi di euro nel 2003 a 8,1 miliardi di euro nel 2017, con una lievitazione del 71,5 % (un po’ meno severa, +68,6 %, se si sterilizza l’effetto dell’aumento dell’IVA intervenuto dal 2011), ma in ogni caso superiore di più di tre volte all’inflazione cumulata nel quindicennio e di più di otto volte all’incremento delle percorrenze chilometriche sulle tratte viarie, con dinamiche incrementali, peraltro, “codificate” come automatismi nei piani finanziari concordati tra i Concessionari e lo Stato, o, come meglio dice STAFFETTA del 07.09.2018 [articolo “Il crollo del ponte Morandi e il sonno della ragione”] “sarebbero stati accordati al concessionario aumenti anticipati dei pedaggi per finanziare il piano di investimenti che è peraltro in forte ritardo.

Il progressivo spread dei prezzi rispetto alla rete ordinaria: cresciuto da qualche cent/litro nel 2003 (divario compatibile con i maggiori costi di gestione di un servizio attivo h24), sino ai valori attuali compresi tra un minimo di 11 ad un massimo di ben 33 centesimi/litro, a seconda delle modalità di servizio (self o servito) e del confronto effettuato sul benchmark medio della rete stradale a marchio petrolifero ovvero degli operatori indipendenti (così dette “pompe bianche”), divario talmente significativo da non potersi in alcun modo ritenere motivato da fondate ragioni di costi gestionali e solo in parte dalla sia pur pesante incidenza delle royalty.

Ai dissesti nella sezione terminale del comparto, evidenziati dall’andamento delle vendite di carburanti ed altri servizi, fa da controcanto il contesto che su STAFFETTA si delineava qualche settimana fa [articolo “Il morbo delle concessioni” del 31.08.2018]  “la corsa alle concessioni come fonti di rendita, da un lato, e dall’altro l’acquiescenza delle istituzioni a una simile logica – quando non partecipano esse stesse alla corsa -, hanno finito spesso per diventare le determinanti principali nei settori coinvolti”. Quando, infatti, i Concessionari lavorano con gli appalti in house, cioè assegnati a società della medesima corporate che li controlla; quando il costo medio ponderato lordo del capitale [in altre parole, la remunerazione del capitale investito ante tasse], anche questo “santificato” nei piani finanziari allegati alle Concessioni autostradali, si aggira attorno ed oltre il 10 %, con valori molto superiori, quasi doppi, rispetto ad altre società regolamentate [ad esempio Enel, Snam, Terna, Italgas, che si aggirano tra il 5,30 % ed il 6,10 %]; e, per fare pendant, quando lo Stato percepisce una royalty che chiamiamo “canone di concessione” che in tutte le sue voci vale (ancora dati del Ministero Infrastrutture e Trasporti) il 10,63 % [pari a 6,4 miliardi di euro dal 2008 al 2016, di cui 5,7 vanno pari pari ad ANAS] del monte pedaggi maturato nello stesso periodo [pari a 60 miliardi di euro], vuol dire che tra “capitani coraggiosi” della finanza, petrolieri ed Istituzioni, tutti si sono ficcati, chi con più chi con meno soddisfazione, nel “piatto ricco. Con quei numeri e con quei patti nella rete in concessione, il disastro che sta “in basso” non disturba certo i conducenti: e del resto il disastro lo pagano le microimprese di gestione, condannate al default, ed i consumatori, i quali, pur avendo assunto da tempo un fastidio istintivo per questo mercato del comparto – dove i prezzi sono tutti “fuori mercato” – e messo in atto una parziale “fuga”, vi hanno pur sempre speso, tra pedaggi, carburanti ed altri servizi, dal 2003 [anno della privatizzazione] al 2017 la bellezza di oltre 160 miliardi di euro. [S.C. – G.M.]

 

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