FRONTE ILLEGALITÀ: L’ANOMALO CASO DI ENI

FRONTE ILLEGALITÀ: L’ANOMALO CASO DI ENI

Lo riproponiamo, come lo riportavano i media mercoledì della settimana scorsa.

«Secondo gli inquirenti sarebbero stati sottratti al Fisco 10 milioni sui prodotti petroliferi. L’azienda: “Estranei a condotte illecite“. Eni: estranei, siamo parte offesa. Chiesta possibilità di utilizzare comunque i misuratori per non bloccare tutto

Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma, coordinati dalla Procura della Repubblica capitolina, stanno procedendo al sequestro preventivo dei sistemi di misurazione di prodotti petroliferi installati presso numerosi depositi e raffinerie di Eni, situati in 13 Regioni, in esecuzione di un decreto emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Roma.

Il provvedimento di sequestro, spiega la Guardia di Finanza in una nota, è finalizzato a impedire l’uso di sistemi di misurazione alterati o alterabili, inidonei a garantire la necessaria affidabilità ai fini fiscali. Sono 18 le persone a vario titolo indagate – direttori, responsabili operativi e dipendenti di depositi e raffinerie, nonché funzionari di uffici metrici – cui sono state contestate violazioni del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi (sottrazione di prodotto al pagamento dell’imposta, alterazione di misuratori e sigilli) e del codice penale (uso di strumenti di misura alterati, predisposizione di falsi verbali e attestazioni, abuso d’ufficio).

Le indagini del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma – spiega la Guardia di Finanza – che hanno valorizzato anche le parallele e convergenti attività investigative affidate dalle Procure di Prato e Frosinone ai Reparti del Corpo di Firenze e Frosinone, hanno riguardato condotte illecite commesse, in particolare, nella delicata fase dell’estrazione dai depositi fiscali di Gpl, gasolio e benzina, momento in cui sorge il debito d’imposta“.

Attraverso l’esame della documentazione e dei supporti informatici acquisiti in sede di perquisizione, i controlli su strada della movimentazione dei carburanti e le consulenze tecniche disposte dall’Autorità Giudiziaria – proseguono i finanzieri – è stata accertata la sottrazione al pagamento delle accise gravanti su quasi 40 milioni di litri di prodotti, con conseguente evasione di circa 10 milioni di euro di tributi“.

Gli investigatori hanno scoperto che “la frode veniva realizzata mediante la manomissione degli strumenti di misurazione (‘testate’) e dei sigilli apposti sugli stessi dall’Amministrazione finanziaria a tutela della loro immodificabilità, l’arbitraria modifica delle variabili di volume, temperatura e densità dei carburanti e l’alterazione informatica delle ‘testate’, anche ‘da remoto’ – si legge nella nota della Gdf – Ciò ha comportato la commercializzazione di quantitativi di carburanti superiori a quelli realmente estratti dai depositi e risultanti dalla documentazione contabile, con la conseguente immissione in consumo di prodotti in evasione d’imposta“.

Eni: “Estranei a condotte illeciti, azienda è parte lesa“. Eni informa che il gip del tribunale di Roma ha disposto il sequestro preventivo dei misuratori di prodotti petroliferi situati presso le raffinerie e depositi della società in Italia. Tale provvedimento si inserisce in attività di indagine che erano state avviate dalle procure di Frosinone e di Prato nel 2010 e dalla procura di Roma nel 2014, di cui la società aveva già dato notizia. I procedimenti sono poi stati riuniti di fronte alla procura di Roma. “Eni – si legge in una nota – ha costantemente fornito all’autorità giudiziaria la massima collaborazione, con l’intento di chiarire le proprie ragioni a sostegno della correttezza del proprio operato e dell’estraneità alle presunte condotte illecite. Nell’ambito di questa vicenda, Eni si ritiene parte offesa. La società, anche in considerazione delle conseguenze che deriverebbero, come effetto del provvedimento, dal fermo totale delle attività di raffinazione e rifornimento di carburanti, richiederà la possibilità di utilizzo dei misuratori al fine di consentire il proseguimento di tali attività e di ridurre per quanto possibile al minimo l’impatto verso i clienti, le società e i servizi”.»

Fin qui la notizia.

Sulla quale – allarmi e disagi, poi rientrati, a parte – la stampa di settore specializzata si é posta qualche interrogativo.

Fra tutti STAFFETTAVicenda ENI, troppi lati oscuri»] che mette il dito su alcuni punti, come, ad esempio,

1) «il fatto che il sequestro arrivi a scoppio ritardato. La prima notizia dell’avvio dell’indagine risale infatti al 18 giugno del 2014, cioè a più di tre anni fa»;

2) «Eni, dichiarandosi parte offesa, ammette che il reato c’è stato e che qualcuno al suo interno lo ha commesso. Escludendo tra l’altro a priori che la vicenda possa essere collegata alla vexata questio che ruota intorno al ben noto fenomeno dei cali e delle temperature, sulla quale da anni si confrontano raffinerie e rivenditori: che invece sarebbe stato un modo, niente affatto improponibile, per sfilarsi dalle accuse. Ma evidentemente non c’erano le basi per farlo. Aderendo invece in pieno alla tesi della manomissione dei misuratori. Che però, essendo passati quattro anni non spiega, a prescindere dai mancati controlli della stessa Guardia di Finanza presente negli impianti incriminati, perché solo ora sia arrivato il decreto di sequestro e non nel 2014 e perché nel frattempo la loro corretta funzionalità non sia stata ripristinata a cura dell’Eni: evitando gli inconvenienti in corso»;

3) «non torna che in tutto questo periodo non ci sia stata nessuna presa di posizione sulla vicenda da parte dell’Agenzia delle Dogane, istituzionalmente preposta a chiarire la genesi e gli effetti dei comportamenti oggetto dell’indagine giudiziaria, e che sia il ministero dell’Economia e delle Finanze sia il ministero dello Sviluppo Economico non sembrano essersi preoccupati delle conseguenze di quello che stava bollendo in pentola da quattro anni e che stava coinvolgendo l’azienda leader del mercato»;

Sarà anche che questa vicenda, come conclude STAFFETTA «non sembra aver niente a che fare con il “dirty oil” e i fenomeni di illegalità che sono dilagati in questi anni nel mercato dei prodotti petroliferi» e, quindi, «a maggior ragione se ne sarebbe fatto volentieri a meno», tuttavia un altro piccolo appunto magari non é improprio.

Verso la fine del 2016, l’industria petrolifera italiana, stigmatizzando l’involuzione qualitativa e di efficienza della rete e l’illegalità strisciante, puntava il dito dritto su quel mondo caratterizzato dal «proliferare di una terza categoria di punti vendita: quelli a basso erogato (che magari in precedenza erano convenzionati con le compagnie petrolifere)» alla cui chiusura o cancellazione «dovrebbe essere il mercato a portare, ma ciò non avviene anche per la diffusa illegalità che caratterizza il comparto«.

Sembrando, in sostanza, dire che non vi fosse «legalità», che non vi fosse salvazione, se non all’interno del proprio sistema di mercato e relazioni, e che la illegalità fosse da ricercare solamente «all’esterno» di tale sistema, magari sospettabile anche per il solo fatto di esserne «fuori»…

Perciò si tratta di un caso decisamente «anomalo». A meno che gli inquirenti ed i magistrati non siano incorsi in una suggestione, prima o poi qualcuno magari chiarirà come si possa definire una cosa che sembra tanto un’altra, ma che, per definizione, «non può stare» in quegli ambienti, ma solo in quegli altri….

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