GESTORI: NO A DELEGITTIMAZIONE CONTRATTI COLLETTIVI

GESTORI: NO A DELEGITTIMAZIONE CONTRATTI COLLETTIVI

FAIB, FEGICA e FIGISC/ANISA hanno indirizzato al Presidente, e singolarmente a ciascun Componente, della Decima Commissione della Camera dei Deputati la comunicazione, che di seguito si riproduce, per esprimere il più netto dissenso sulle ipotesi di cancellazione della contrattazione collettiva contenute nel documento finale dell’indagine conoscitiva sulla Strategia Energetica Nazionale.

Sull’argomento [già trattato su FIGISC ANISA NEWS n. 39 del 29.09.2014 e sul N. 41 del 13.10.2014 in merito alle indiscrezioni sul disegno di legge sulla concorrenza], una nota analoga è stata inviata alla Commissione da Luca SQUERI nella sua veste di componente del Parlamento.

Roma, 20 ottobre 2014

Oggetto:

Proposta documento conclusivo della indagine conoscitiva sulla Strategia Energetica Nazionale

Ill.mo Presidente, ill.mi Onorevoli,

in relazione alla nuova bozza di documento conclusivo dell’indagine conoscitiva condotta dalla X Commissione Permanente sulla Strategia Energetica Nazionale, ci permettiamo di segnalare quanto in appresso esposto.

La nuova bozza – riconfermando il contenuto della precedente versione di data 24 settembre u.s. – contiene un diffuso riferimento alla c.d. liberalizzazione delle forme contrattuali tra i proprietari degli impianti e delle autorizzazioni ed i singoli gestori nell’ambito della rete distributiva dei carburanti, come in appresso specificato:

«L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ritiene che tale normativa vada modificata nel senso di estendere la liberalizzazione delle forme contrattuali a tutte le relazioni tra proprietari e gestori e dunque anche a quelle relative al-l’utilizzo delle infrastrutture (per cui è attualmente previsto solo il comodato gratuito), consentendo l’utilizzo di tutte le tipologie contrattuali previste dall’ordinamento (ad esempio: l’affitto dell’impianto di distribuzione) e, soprattutto, eliminando il vincolo della tipizzazione tramite accordi aziendali, che, oltre a rallentare il processo di apertura alle nuove forme contrattuali, non consente di superare elementi di natura collusiva nel processo di fissazione dei modelli di contratto.

Questa piena liberalizzazione delle forme contrattuali consentirebbe, da un lato, di aumentare l’autonomia del gestore rispetto al soggetto proprietario dell’impianto incentivando, ad esempio, forme di aggregazione di piccoli operatori nell’attività di approvvigionamento, dall’altro, potrebbe consentire alle società petrolifere di rifornire anche punti vendita non appartenenti alla propria rete rendendo possibile la nascita di impianti nella sostanza multimarca.»

In merito, si osservano sinteticamente i seguenti elementi:

– in primo luogo, le norme specifiche di settore – quali consolidatesi nel tempo [legge 1034/1970, decreto legislativo 32/1998, legge 57/2001] – sono state formate dal legislatore in considerazione della particolare natura dei rapporti intercorrenti tra le parti operanti nel settore, che, non casualmente, sono stati stabilmente inseriti ex lege nel quadro della dipendenza economica e che la giurisprudenza considera essere in modo pacifico ed univoco rapporti di parasubordinazione;

– tali rapporti, infatti, sono caratterizzati da un lato dalla proprietà degli impianti e dalla titolarità delle autorizzazioni (ex concessioni) – peraltro generalmente identificabile anche nel fornitore in regime di esclusiva dei prodotti – e dall’altro da un lavoratore subordinato, sia pure organizzato in forma d’impresa, nei fatti privo di autonomia rispetto alla determinazione del prezzo di cessione del prodotto e inserito stabilmente nell’organizzazione del proprietario/titolare di autorizzazione/fornitore in esclusiva;

– le norme specifiche di settore hanno regolato – proprio in considerazione di tale configurazione ed allo scopo di limitare gli effetti di una tale evidente squilibrio – forme di regolamentazione dei rapporti tendenti a salvaguardare, mediante una negoziazione assistita e la formulazione di accordi collettivi – sottoscritti dalle organizzazioni di categoria cui i gestori si associano per esercitare il diritto di rappresentanza -, la tutela della parte naturalmente meno autonoma nel rapporto e con ciò anche il minimo delle garanzie poste a tutela della concorrenza, nell’interesse collettivo e dei consumatori;

– le norme sopravvenute [legge 111/2011 e 27/2012] hanno bensì previsto un più ampio spettro di istituti contrattuali rispetto a quelli originariamente codificati [che si limitavano a prevedere l’affidamento in comodato dell’impianto unitamente ad un rapporto di fornitura in esclusiva], ma continuando a salvaguardare il concetto della tutela della parte più debole, mantenendo il principio della contrattazione collettiva in ordine non già ai contenuti economici specifici del rapporto, ma bensì alle fattispecie contrattuali ammissibili.

La eventuale disapplicazione della norma che ha fissato un tale grado di negoziazione assistita attraverso la contrattazione collettiva [e tipizzata] – che viene invocata per generiche e palesemente contraddittorie ragioni di mercato – avrebbe come unico risultato non già una maggiore autonomia del gestore, ma una generale deprivazione della tutela della parte – individuale e collettiva – soccombente nel rapporto, con l’effetto derivato per un verso di eliminare ogni strumento di riequilibrio del «sistema», lasciato interamente nelle mani degli operatori che già detengono le redini del mercato in modo del tutto dominante e, dall’altro, di cancellare anche la capacità rappresentativa di una categoria di lavoratori, contro ogni evidenza del diritto vigente: una ipotesi che non potrebbe che trovare totale opposizione nella categoria, oltre a definire profili involutivi rispetto alle libertà associative.

Un tanto premesso rispetto all’inopportunità di forzature che nulla hanno a che vedere con le necessarie misure di cui il sistema distributivo dei carburanti invece abbisogna [in primis interventi per la ristrutturazione della rete, con la finalità di allinearla agli standard di efficienza dell’Europa Comunitaria], ove si ritenesse che tali forzature siano giustificabili in nome di un interesse comune – ad esempio, la tutela del consumatore e la diminuzione del prezzo dei carburanti – si sottolinea che:

– l’alto prezzo dei carburanti trova la sua motivazione in un differenziale della pressione fiscale che nell’ultimo triennio risulta essere assai più elevata [attorno ai 24-25 cent/litro] rispetto alla media comunitaria per un valore che trascende di più volte l’intera componente dei costi e margini del sistema distributivo che incide sul prezzo finale, nulla essendo più lontano dal determinare un simile stato di fatto della situazione dei rapporti contrattuali tra le parti;

– le condizioni di accesso al prezzo del prodotto che viene distribuito sulla rete sono gravemente sperequate rispetto ai soggetti che vi operano [i prodotti vengono ceduti al gestore dai fornitori in esclusiva – ossia dagli stessi marchi petroliferi che detengono la proprietà degli impianti e la titolarità autorizzativa – con prezzi assai superiori (anche 17/18 cent/litro) rispetto agli operatori c.d. indipendenti, senza che ciò sia giustificato sul piano dei costi reali, dell’utilizzo del marchio e della remunerazione degli investimenti], con gravissima discriminazione tra competitors sullo stesso segmento e bacino di mercato;

– il settore è stato più volte liberalizzato ed il sistema distributivo offre oggi – al netto dello stato di arretratezza e congestione della rete – amplissime opportunità al consumatore di accesso al servizio, plurime modalità di offerta ed una vastissima gamma di prezzi.

In sintesi, una sovraesposizione della questione del prezzo dei carburanti, unitamente ad una confusa percezione delle cause reali della sua elevatezza, una concezione meramente astratta dei principi della concorrenza, unitamente ad una scarsa consapevolezza dei rapporti realmente intercorrenti nello specifico mercato, non possono in alcun modo giustificare misure che, non incidendo realmente sulle cause del prezzo, sono in realtà solo gravemente pregiudizievoli per la parte più debole degli operatori del settore, già gravemente discriminati rispetto ad una loro corretta potenzialità competitiva.

Confidando che la presente segnalazione possa costituire titolo per una più esaustiva ed equilibrata valutazione della problematica, è gradita l’occasione per porgere i più distinti saluti

FAIB Confesercenti – Il Presidente Martino LANDI

FEGICA CISL – Il Presidente Roberto DI VINCENZO

FIGISC/ANISA Confcommercio – Il Presidente Maurizio MICHELI

Nota informativa
a cura della Segreteria Nazionale FIGISC - ANISA
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