IL DOCUMENTO DELL’ASSEMBLEA GESTORI ADS AUTOSTRADA INDETTA DA ANISA

Come da convocazione inviata ai destinatari [si veda anche la comunicazione e l’ordine del giorno pubblicati su Figisc Anisa News N. 24 del 28.11.2017], si é svolta a Milano il giorno 5 dicembre u.s., presso la sede di Confcommercio, l’assemblea aperta dei gestori delle AdS della viabilità autostradale, indetta da ANISA, per esaminare la situazione generale del comparto e dei rapporti con le aziende petrolifere.

L’assemblea – che ha avuto un considerevole apporto di partecipazione di associati ANISA e non -, sulla scorta della relazione presentata dal Presidente, Stefano CANTARELLI, del contributo al dibattito degli intervenuti e degli Ospiti, nonché dei chiarimenti forniti anche dai rappresentanti dello Studio Legale di fiducia della Associazione, ha al termine approvato all’unanimità gli indirizzi politico-sindacali espressi da ANISA, e che di seguito sinteticamente si riassumono.

Il comparto autostradale é ormai contrassegnato da una crisi che appare del tutto irreversibile – nel caso non intervengono fattori correttivi delle politiche commerciali e di programmazione della rete -, crisi attestata, nonostante una moderata ripresa dei volumi di traffico a partire dal 2013, da un crollo verticale delle vendite di carburanti nell’ordine di quasi il 62 % nell’arco di dieci anni, certo imputabile alla crisi economica nonché all’efficientamento tecnologico dei consumi energetici dei veicoli, ma (e valga a comprova il fatto che le perdite della rete ordinaria, comunque interessata a dinamiche, sia congiunturali che strutturali, pressoché identiche, sono circa della metà), altresì, ed in maniera significativa, all’aumento dei prezzi di tutti i beni e servizi offerti sulla rete [ivi compresi quelli di somministrazione], che ha contribuito massicciamente a defidelizzare gli utenti relegando il comparto alla attuale marginalità in cui le vendite in autostrada sono appena pari al 6 % (erano pari all’11 % appena dieci anni or sono) del totale dei carburanti approvvigionati sulla rete stradale complessiva. I fattori che hanno determinato tale fenomeno sono l’elevata incidenza delle royalty [che di fatto costituiscono una violazione del principio di uniforme accesso dei cittadini sul territorio nazionale al prezzo di beni e servizi], la mancata razionalizzazione della rete distributiva contrassegnata da una eccessiva permanenza di punti vendita sempre meno efficienti e sotto la soglia di sostenibilità dei costi, l’elevato divario complessivo dei prezzi rispetto alle ben migliori offerte della rete ordinaria oltre ogni ragionevole motivazione dei maggiori costi per garantire un servizio di 24 ore, il progressivo ampliamento della forbice del prezzo tra le due diverse modalità di servizio di rifornimento, self e servito, percepito come del tutto ingiustificabile (ed anche in questo caso con effetti di gran lunga superiori a quelli riscontrabili in rete ordinaria).

Rispetto a tale grave emergenza sulle residue prospettive di contenimento della crisi del comparto, spicca, per contro, un generale disinteresse di politica, concessionari ed aziende ad affrontarne i nodi autentici: prova ne siano un progressivo abbandono da parte degli operatori petroliferi tradizionali, l’affidamento di un sempre maggior numero di aree ad operatori con core business orientato diversamente rispetto all’oil, le del tutto mancate misure di razionalizzazione della rete, la gestione opaca nonché superficiale delle stesse disposizioni dettate dal decreto MIT-MiSE del 2015, lo sfaldamento di ogni sinergia di settore per invertire il degrado, il deterioramento dei rapporti interni tra aziende e gestori.

In questi dieci anni, infatti, nei quali il tasso temporale coperto da accordi compagnie-gestori non ha superato un quinto del periodo intero [quota scesa al 12 % dopo il 2010], si sono enfatizzati tutti i fattori negativi che hanno determinato la messa in crisi [e in molti casi l’abbandono forzoso] delle gestioni: l’accentuazione di discriminazioni dei prezzi imposti tra aree, con conseguente sviamento della clientela e marginalizzazione di una quota crescente di punti vendita, la mancata negoziazione degli accordi e l’elusione delle condizioni pattuite, al punto di spingere la categoria – con una vertenza che dura dal 2012 – a dover agire marginalmente sul prezzo finale per arginare il default, situazione a sua volta strumentalizzata per inasprire politiche di prezzo fortemente punitive per i gestori e penalizzanti per ogni residuo appeal dell’intero comparto verso gli utenti. In tale contesto di degrado – accentuato anche da altre circostanze o specifiche del comparto [quali ad esempio, l’ultima applicabilità della continuità gestionale, la estraneità dei nuovi operatori della rete al sistema consolidato di relazioni normative con la categoria] da un lato, oppure, dall’altro, di valenza generale, come lo scarsissimo interesse della politica per un settore ritenuto ormai maturo come il petrolio -, la ripresa di un rapporto di concertazione con le residue aziende del comparto [ne restano, dopo le note vicende della rete, ormai ben poche, e con alcune di esse non vi sono accordi dalla prima metà degli anni duemila] non appare né scontata, né riproponibile alla stessa stregua del passato.

Qualunque tipo di accordo – e la ricerca dell’accordo é sempre necessaria ed opportuna se ve ne sono le condizioni e se ne sono possibili elementi condivisibili – non può, infatti, prescindere, sia rispetto ai contenuti economici e normativi in esso contenuti, sia rispetto agli strumenti contrattuali che regolano il rapporto gestore-compagnia, né da una valutazione sulla grave crisi del comparto e sulla sussistenza o meno di condizioni idonee per correggerne la deriva, né da un ragionamento complessivo sui fattori, con lo specifico riferimento alle politiche commerciali delle aziende, che influenzano in modo determinante e dominante i risultati delle gestioni.

Come già emerso in diverse prese di posizione espresse da ANISA nei mesi scorsi, i contenuti determinanti di ogni accordo praticabile – anche senza istituti contrattuali alternativi a quello oggi prevalente -, quelli, cioé, che non possono essere sottaciuti od assunti senza verifica preventiva – riguardano gli scostamenti massimi dei prezzi tra AdS di marchio, tra impianti AdS ed impianti del marchio di rete ordinaria di prossimità con l’autostrada, nonché gli scostamenti massimi di prezzo tra modalità di servizio, fattori determinanti a modificare sensibilmente ogni tipo di accordo economico sottoscritto a scatola chiusa sui margini delle gestioni in conseguenza del variare del mix degli erogati – e le cui eventuali criticità sembrano assai inopportune da definire solo attraverso il meccanismo [incerto ed arbitrario nei tempi di risposta, nei modi e nei valori] della c.d, gestione delle sofferenze, affidata esclusivamente alla «buona volontà» delle aziende -. A maggior ragione, se tali elementi non fossero negoziabili, risulterebbe difficile aderire a clausole che comportano sanzioni al gestore che si vedesse costretto a dover ricorrere alla leva del prezzo per potersi almeno in parte difendere da penalizzanti  politiche commerciali.

Analoghe considerazioni sulla necessità di un rapporto chiaro tra politiche commerciali e capacità di competere si possono estendere nel caso di introduzione di nuove figure contrattuali – quali, ad esempio, la c.d. trattativa negoziata, ovvero il contratto di commissione – sul quale ultimo si è già espresso il parere che debba avere un carattere di reversibilità [oltre al doppio strumento contratto di comodato + contratto di commissione], al fine di verificare la congruenza con i risultati di gestione, in assenza di tale flessibilità finendo solo per configurarsi come uno strumento per azzerare ogni minima possibilità di difesa del gestore rispetto al mercato. Sul fronte degli strumenti contrattuali, tuttavia – sia pure traguardando in ampia prospettiva – la svolta, anche se non l’unica possibile, che potrebbe sia restituire equilibrio nei prezzi, sia contribuire ad un rilancio del comparto, sia stabilizzare con qualche probabilità di riuscita le gestioni, é l’attuazione delle norme di settore [legge 27/2012] sulle nuove tipologie, con una regolazione del rapporto che preveda un affitto di ramo d’azienda con una contratto di fornitura a prezzo equo. Anche a dover prescindere da ciò – nonostante l’inerzia del settore rispetto alle norme vigenti da oltre un lustro -, tuttavia, rimangono fondamentali ed irrinunciabili le precondizioni dello stretto rapporto tra accordi, e contratti, e politiche commerciali negoziate su una base reciproca.

L’assemblea, nell’approvare gli indirizzi politico-sindacali sopra illustrati, si rammarica di taluni giudizi purtroppo ingenerosi che affrettatamente tendono ad etichettarli alla stregua di  «pericoloso avventurismo, posizioni nichiliste»  [che andrebbero, per giunta «condannate e combattute»], ritenendo per contro che essi abbiano più di qualche fondamento oggettivo e di buon senso nel contesto attuale delle condizioni del comparto, e che possano apportare un contributo costruttivo al dibattito in corso nelle Organizzazioni e nella categoria e che debbano, pertanto, poter essere messi a disposizione di un comune approfondimento e, se possibile, di una superiore sintesi condivisa.

Nota informativa
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